Dolomiti: evasioni d'autunno

Vista, udito, gusto, tatto, olfatto: breve ma intenso viaggio attraverso i cinque sensi (o forse sono sei?) di un cicloturista alla scoperta di percorsi ciclabili fuori stagione.


Una bici, due giorni, tre borse, quattro ciclabili, cinque sensi: si può forse riassumere con questi primi, semplici numeri, l'essenza di una pura "parentesi" fuori stagione, o magari ne occorrerebbe un altro? Un sesto senso, ad esempio.

E quale sarebbe il sesto senso di un cicloturista?

Forse è il senso di libertà, che egli inizia a percipire già al primo colpo di pedale, o probabilmente anche prima, quando con acquisito "mestiere" riempie e assicura le borse alla sua bici.

O magari è il senso di sicurezza che qualsiasi ciclista prova quando, lasciata una strada dominata dal traffico automobilistico o il caos e i pericoli di un centro urbano, si ritrova da solo a pedalare su una pista ciclabile riservata.

Di certo, soprattutto in questo periodo così complicato per il nostro Paese, che ancora non è uscito dall'emergenza di una storica pandemia, il sesto senso di un cicloturista può anche essere identificato in quella sensazione di fortunata "evasione" che gli permette di lasciarsi momentaneamente alle spalle i cattivi pensieri, come fossero scorie nocive eliminate dalla forza centrifuga imposta sui pedali.

E' proprio tutto questo che percepisco nettamente, in aggiunta ai miei cinque sensi già tutti intensamente attivati di prima mattina per godere appieno di questa mini vacanza, mentre pedalo solitario sulla suggestiva ciclabile dell'Oltradige: un breve tracciato ricavato da una ex ferrovia dismessa nel 1971, a testimonianza della quale rimangono ancora due gallerie (ben illuminate) da attraversare in sella.

"La mattina fa già molto freddo, ma la giornata si annuncia splendida e la temperatura salirà presto": è stato questo il benaugurante "arrivederci a domani sera" da parte di Marianne, l'accogliente proprietaria di un bike hotel strategicamente posizionato lungo la ciclabile dell'Isarco, struttura che, anche a prescindere da esigenze di pernotto, funge anche da comodo punto di ristoro per i ciclisti di passaggio.

In effetti, i primi chilometri percorsi all'ombra su questa ciclabile, compreso l'attraversamento di una Bolzano ancora assonnata e gelata, sono stati piuttosto impegnativi come "partenza a freddo" (nel vero senso della parola…).

Ora, però, il sole splende alto, mentre pedalo attraversando i vigneti estesi a perdita d'occhio le cui foglie, ingiallite dal periodo, risultano quasi lucenti pannelli solari posizionati a moltiplicare l'energia positiva del territorio. Sarà forse anche per questo, ma sta di fatto che il calore che avverto aumenta l'appagamento che prova il primo dei miei cinque sensi dinanzi al magnifico panorama del verdissimo lago di Caldaro: la vista.

Da una ex ferrovia a un'altra. Attraversata la statale, eccomi ad affrontare la lunga, pedalabile e piacevolissima ciclabile della vecchia ferrovia della Val di Fiemme: una salita di ben 23 chilometri, dalla pendenza leggera e costante, caratterizzata da una pavimentazione sterrata ma compatta (intervallata solo da qualche centinaia di metri di asfalto), posata in sostituzione del sedime e delle rotaie della struttura dismessa nel 1963.

Dei miei sensi, è ora l'udito ad essere quello più gratificato, beneficiando di un silenzio surreale accompagnato in sottofondo solo dal piacevole scricchiolìo dei copertoni sul brecciolino, mentre pedalo attraversando ponti e gallerie che ancora rimangono a dimostrazione della vecchia destinazione del tracciato.

Siamo abituati ad affrontare valichi di montanga pedalando su trafficate strade condivise con i veicoli a motore, a meno di non optare per ripidi sentieri o mulattiere che tuttavia renderebbero necessario l'utilizzo di una mtb, e mi risulta quindi un caso più unico che raro scollinare a una quota superiore ai 1.100 metri s.l.m., nel cuore del Parco Naturale del Monte Corno, pedalando in piena solitudine su un tracciato così facile e lontano dalle vie principali.

La sorprendente particolarità dell'itinerario prosegue anche nella successiva discesa. E', infatti, una pista ciclabile asfaltata quella che velocemente percorro, con divertenti curve in mezzo al bosco, per raggiungere la Val di Fiemme. Dopo una brevissima deviazione per ammirare le cascate dell'Avisio di Cavalese, trovato alloggio per la notte in una delle poche strutture aperte in bassa stagione, è ora il momento di dare libero sfogo al senso del gusto, che viene appagato da una cena a base di specialità locali.

Che fine ha fatto il senso del tatto? E' mattina, percorro la ciclabile Val di Fiemme e Fassa, ma le mie dita non sentono le leve dei freni. Il sole è già sorto, ma ancora non fa capolino dietro le creste dolomitiche, ragione per la quale la temperatura è ancora sotto lo zero e mi ritrovo a pedalare attraversando prati imbiancati dalla brina. Fortunatamente, la ciclabile è in leggera salita e, quindi, non c'è bisogno di agire sui freni mentre la temperatura via via cresce e il sole, finalmente, illumina la vallata.

Pedalo continuamente in splendida solitudine, sempre su pista asfaltata. Supero Predazzo, ammirando alcuni atleti del salto con gli sci che, pur in mancanza della neve, si allenano approfittando della copertura sintetica dei trampolini (strutture davvero imponenti viste così, dal vivo), e successivamente Moena, dove la val di Fiemme sconfina in quella di Fassa.

Un cartello mi informa che siamo sulla "strada dei formaggi delle Dolomiti". Me n'ero già reso conto ieri sera, a cena. Ma forse è il momento di un piccolo "promemoria": giunto a Vigo di Fassa mi concedo una sosta per un panino speck e formaggio, accompagnato da una magnifica vista sulla dolomitica Punta Vallaccia, che sovrasta i ripidi pendii ricoperti di larici ed abeti che donano al territorio quella tipica bicromia verde-oro della stagione autunnale.

E' ora di abbandonare i tracciati ciclabili percorsi in sicurezza per rientrare alla base, affrontando la strada che porta al Passo di Costalunga. Fortunatamente, in questo periodo il traffico è pressoché inesistente e, quindi, la salita sembra davvero ancora una pista ciclabile tutta per me e posso rilassarmi, mentre il mio senso dell'olfatto è piacevolmente solleticato dalle resine sprigionate dalle conifere che mi circondano.

Durante la veloce discesa che segue il valico, una sosta è davvero d'obbligo per raggiungere le sponde di un piccolo gioello. Il verdissimo lago di Carezza appare infatti come uno smeraldo incastonato tra le pareti del Latemar e quelle del gruppo del Catinaccio e alla tentazione di una passeggiata a piedi per ammirarlo anche dal basso non si può resistere.

Purtroppo, sono anche molto estese le zone di foresta qui rase al suolo da Vaia, la tempesta del 2018 che ha cambiato per sempre la fisionomia delle Dolomiti. Una forza naturale ha violentato la natura stessa e l'angoscioso risultato che si presenta davanti agli occhi mi fa sentire ancora più piccolo e indifeso rispetto a quanto già io non mi percepisca quando sono in sella alla bici.

Potenti luci accese (anteriori e posteriori) e bretelle catarifrangenti: è il momento. Purtroppo la vecchia, suggestiva, strada della val d'Ega è stata dismessa e non è più percorribile e, quindi, sono costretto a tuffarmi nelle fauci di queste lunghe gallerie che appaiono davanti alle ruote come unica possibilità per raggiungere la mèta.

Ma le accortezze adottate per la massima visibilità alle auto che mi superano sfrecciando in discesa consentono, comunque, di godermi gli ultimi colpi di pedale concentrandomi su tutte le emozioni che hanno raccolto i miei sensi in questi due giorni.