Per pedalare un Po

Due giorni di bikepacking in giro per il Delta


Ciclabile Destra Po, ottobre 2020

Davanti: nessuno.

Dietro: nessuno.

A sinistra: boschetti di pioppi immersi nell'acqua della piena che ha sommerso le golene.

A destra: campi coltivati a perdita d'occhio.

Se davvero questo è l'anno del distanziamento sociale (e, purtroppo, lo è), credo di avere scelto il posto giusto per due giorni di pedalata in solitario.

Delta: la definizione ci richiama alla memoria i libri di geografia delle elementari, quando abbiamo appreso che questo è il tipo di foce di alcuni dei più lunghi e famosi fiumi del mondo (Volga, Nilo, Danubio, Mississippi...).

Noi, nel nostro piccolo, abbiamo un magnifico parco naturale, diviso tra due regioni (Veneto ed Emilia Romagna), patrimonio dell'umanità e riserva della biosfera Unesco. E scusate se è poco.

Il Delta del Po è un deposito sedimentario che comprende cinque rami del grande fiume e ha una superficie in continua mutazione, dovuta sia ai fenomeni fluviali che ne comportano l'avanzamento verso il mare sia a quelli marini che, invece, ne hanno causato l'arretramento.

Un posto davvero unico in Italia, anche per pedalare.

Sono partito questa mattina da Chioggia, detta la "piccola Venezia" per la sua somiglianza con la Serenissima, non solo per le sue tradizioni economico-sociali ma anche per la struttura urbanistica. Come spine da una lisca, ben 74 "calli" si diramano dal corso principale, perpendicolarmente ai canali sui quali finiscono per affacciarsi (un sentito ringraziamento a mr. Google, che mi ha esonerato dal contare personalmente ogni singola calle...).

Da Chioggia, l'itinerario prescelto dapprima si è snodato lungo l'argine dell'Adige e successivamente, raggiunta Ariano Ferrarese dopo un lungo tratto su una strada piuttosto trafficata, sono rientrato nella "comfort zone" di un tratto ciclabile: il percorso "destra Po". Si tratta di un lungo tracciato cicloturistico che inizia a ovest di Ferrara, in località Stellata, e giunge alla foce dopo avere costeggiato dapprima il corso principale del Po e, successivamente, uno dei rami del delta, precisamente il Po di Goro.

Eccomi, dunque, a pedalare in sicurezza e solitudine sui lunghi rettilinei che intercalano ampi archi disegnati dalla strada per seguire le anse del fiume. Il silenzio è interrotto solo dal verso di uccelli acquatici, le fattorie si alternano a qualche idrovora per la bonifica idraulica della zona e i moscerini mi suggeriscono di promuovere provvisoriamente la mascherina anti-covid al rango di... protezione anti-insetto.

In effetti, fa ancora piuttosto caldo per essere in ottobre; fermo restando che è comunque questo, insieme alla primavera, il periodo migliore per esplorare a pedali il Delta, giacché qui le estati sono caratterizzate da un caldo afoso opprimente (oltre che dal conseguente, esponenziale, aumento di insetti…), mentre in inverno il gelo e l'umidità della nebbia sono tali da disincentivare il cicloturista alla ricerca di scorci e panorami da apprezzare in relax.

Ma…. che ci fa un castello nel bel mezzo dei terreni bonificati del Delta?

Con le sue quattro imponenti torri sovrastate da mura merlate, il castello estense di Mesola mi appare così, all'improvviso, mentre pedalo sull'argine del Po di Goro.

Circondato per due terzi, senza soluzione di continuità, da basse costruzioni che - immagino – un tempo dovevano essere adibite a stalle e alloggi per la servitù, l'edificio, una via di mezzo tra fortezza e dimora di lusso, affaccia sulla piazza principale del paese rendendo quest'ultimo un luogo davvero unico per la zona e, quindi, da non perdere.

Una manciata di mandorle, frutta fresca e un bel "beverone" di aminoaicidi ramificati, maltodestrine e sali minerali: un ciclista serio così recupera dalla fatica del giorno. Ma io non sono un ciclista serio e così, comodamente seduto tra i tavoli della pescheria del porto di Goro, rifletto su questa fortunata circostanza mentre a cena mi rifocillo con un enorme e squisito fritto misto di gamberi, calamari e seppioline, il tutto a km. 0 e, naturalmente, con il doveroso accompagnamento di birra e patatine.

"Il ponte di barche di Gorino è chiuso, perché è aperto". "Non ho capito: è chiuso o è aperto?" "È aperto per far passare i detriti, quindi è chiuso al transito". Inizia così, con questo surreale dialogo con Nada, la cortese e simpatica proprietaria del b&b di Goro dove ho scelto di pernottare, la seconda parte della mia zingarata in bikepacking al delta del Po. Scopro, così, che il ponte che avevo in programma di attraversare (la cui denominazione "ponte di barche" deriva dal fatto che è stato proprio realizzato in appoggio a una serie di piccoli natanti collegati tra loro, secondo un'antica tradizione militare) viene "aperto" (in senso letterale!) nelle occasioni di piena del fiume, per permettere il passaggio dei detriti verso la foce. Una rapida occhiata alla mappa e traduco immediatamente in chilometri il piccolo imprevisto: a causa della necessaria deviazione, la seconda tappa sarà decisamente più lunga della prima...

La notizia non è comunque tale da indurmi a una modifica della mia preparazione alla pedalata, a cui dedico, quindi, la consueta lentezza metodica che oggi sembra anche accompagnare il diradarsi della nebbia del primo mattino. Fare colazione con calma, indossare il completo da bici, riempire le borracce, stipare il bagaglio, agganciare bene le borse da bikepacking e tirarne le cinghie a dovere: un rilassante rito che, ormai, compio con il pilota automatico e che mi dà la vibrante sensazione di riempire il corpo di un'energia positiva che mi accompagnerà per tutto il giorno.

Piccole palafitte dei pescatori sulla costa e innumerevoli palizzate per la coltivazione delle cozze a perdita d'occhio nella baia: così, nel silenzio di un'assolata giornata priva di vento, si presenta ai miei occhi la Sacca degli Scardovari.

In questo ambiente lagunare, caratterizzato da una particolare conformazione idrogeologica e dall'incontro dell'acqua dolce dei rami del fiume con quella salmastra del mare, che favorisce l'acquacoltura, il tempo sembra essersi fermato.

A vedere i pescatori all'opera, lenti e metodici nei loro ritmi ormai acquisiti nel corso degli anni, sembra quasi che essi siano nati qui, poi cresciuti e destinati a invecchiare senza mai uscire da questa "bolla" spazio-temporale.

Un anziano pescatore si avvicina dall'acqua verso il molo di una delle palafitte. Sbirciando il fondo della sua barca, intravedo una grande rete piena di cozze. Mentre assicura la cima al molo, i nostri sguardi si incrociano per un attimo e ho quasi la sensazione di essere giudicato. D'improvviso, mi sembra di costituire un elemento estraneo a un habitat così ovattato, così rimonto in sella e mi allontano, lasciandomi alle spalle questo singolare e affascinante scorcio del Delta, le cui sensazioni rimarranno comunque dentro di me per tutto il giorno (e oltre).

Continuo a pedalare sulle strade secondarie del Parco, quasi tutte asfaltate salvo alcuni tratti sterrati sugli argini dei rami del fiume. I sentieri riservati alle bici scarseggiano ma, del resto, considerato che il traffico motorizzato è quasi assente, non ne sento la mancanza.

Il dislivello, naturalmente, è inesistente. Dopo le innumerevoli esperienze passate che mi hanno portato a viaggiare in bici affrontando salite lunghe e impegnative, provo una strana sensazione a pedalare esclusivamente in pianura.

Paradossalmente, alla lunga è meno riposante. Senza le salite, è ovvio, non esistono nemmeno le discese. Quindi in pianura si pedala sempre e non puoi mollare nemmeno per un attimo. Se lo fai, ti fermi. Punto.

Ma, se il tracciato da percorre è piatto, fortunatamente non lo è il paesaggio. Gli argini e le golene si alternano, davanti alle mie ruote, alle campagne e alle valli da pesca. Verso nord, mi trovo poi a percorrere i cosiddetti "scanni": lunghe e strette lingue di terra che, formate dalla sabbia portata nel delta dai rami del fiume e modellate nel tempo dal vento e dalle onde, si ergono così a protezione naturale delle lagune.

Ed è proprio lungo lo scanno che divide la laguna marina di Caleri da quella paludosa di Rosolina che i tenui colori del Parco improvvisamente si ravvivano, grazie alle distese di salicornia, l'asparago di mare che in autunno assume un attraente colore rosso acceso.

Mi fermo per immortalare con una foto il contrasto cromatico, ma forse è solo una scusa per temporeggiare e godere ancora appieno di questo silenzio, ammirando gli uccelli che svolazzano indisturbati e quasi con l'orgogliosa consapevolezza di essere loro i padroni indiscussi dell'ambiente.

Poco dopo, infatti, percorso un ultimo tratto sterrato di nuovo sull'argine dell'Adige, rieccomi ad affrontare il traffico motorizzato sulla strada che riporta al luogo di partenza. Mentre, alle porte di Chioggia, mi appare il cartello che ricorda che qui si trova il più antico orologio del mondo, di colpo un pensiero mi risale alla mente, come spinto dalla forza centrifuga della pedalata: non ho visto i fenicotteri rosa!

Sorrido: ho un'ottima scusa per tornare presto a pedalare nel Parco del Delta.